Il fisco può legittimamente desumere maggiori ricavi non dichiarati derivanti dalla cessione di un immobile a prezzi inferiori a quelli risultanti congiuntamente dai valori Omi e da quelli dell’osservatorio Fiaip (Federazione italiana agenti immobiliari professionali). Lo ha deciso la Cassazione, con l’ordinanza 12915/2019. A seguito dell’abrogazione della presunzione legale relative ex Legge 88/2009, oggi lo scostamento tra i corrispettivi di vendita di un immobile e il valore Omi costituisce soltanto una presunzione semplice, sicché non è da solo sufficiente a sorreggere l’accertamento analitico-induttivo, richiedendo il supporto di ulteriori elementi probatori convergenti (circolare 18/E del 2010, paragrafo 3.2). Secondo la Suprema Corte, tale presunzione semplice non impedisce, però, al giudice di fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e gravità, tuttavia non riconoscibili nel solo valore Omi, che va pertanto combinato con ulteriori indizi (ex pluris, Cassazione 2155/2019). Tali ulteriori indizi possono consistere, ad esempio, nelle fatture e negli assegni degli acquirenti, dai quali emerga l’antieconomicità dei prezzi praticati e avverso la quale il contribuente non abbia evidenziato elementi di prova decisivi in senso contrario (Cassazione 30779/2018). È proprio l’antieconomicità, invero, a combinarsi spesso con lo scostamento in oggetto negli accertamenti spiccati dal fisco, come dimostra anche la recente Cassazione 8845/2019, con cui sono stati considerati non solo i valori Omi per definire il prezzo accertabile, ma anche le quotazioni della Borsa immobiliare di Milano.